I primi contatti tra la Commissione Europea e le autorità italiane, sulla questione dell’affidamento in concessione al Consorzio Venezia Nuova delle attività di salvaguardia, risalgono al 1994. La necessità di un ripristino delle regole comunitarie è ribadita anche dal Parlamento europeo nella
Risoluzione sulla situazione di crisi di Venezia dell’11 maggio 1999 dove si chiede che “il Governo italiano, di concerto con le autorità locali e regionali, rispettando le norme europee in materia di appalti e concessioni, prenda decisioni tempestive e soluzioni efficaci, che tengano in considerazioni le nuove tecnologie, per il miglioramento della mobilità urbana e per la migliore soluzione del problema dell’acqua alta che si basi anche su un progetto integrato di risanamento ambientale della laguna e della gronda lagunare, di rafforzamento delle fondazioni della città e di ripulitura dei suoi canali”.
Sull’affidamento al Consorzio Venezia Nuova venivano, nel contempo, esplicitate le ipotesi di contrasto con i principi generali che il Trattato comunitario dettava in materia di concorrenza e anche con la direttiva Cee in materia di procedure e aggiudicazione di appalti di lavori pubblici del 1971, allora vigente. Peraltro, secondo alcune interpretazioni il legislatore avrebbe sancito la possibilità e non l’obbligo del ricorso a tale forma di affidamento.
Nel 1993, il legislatore aveva già chiesto di superare il sistema della concessione unica dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, delegando il Governo (
Legge 24/12/1993, n. 537,
Interventi correttivi di finanza pubblica, art. 12, c. XI.) a emanare disposizioni dirette a razionalizzare l’attuazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia, secondo rigorosi criteri di adeguamento alla normativa comunitaria. Il
decreto legislativo 13 gennaio 1994, n. 62,
Norme dirette ad assicurare la razionalizzazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia, stabiliva che i compiti di studio, ricerca, sperimentazione e progettazione delle opere volte alla salvaguardia, la predisposizione del Piano generale unitario degli interventi, i controlli tecnici di qualità delle progettazioni esecutive, i compiti per la raccolta e la elaborazione dei dati dovevano essere affidate ad un’apposita società per azioni costituita d’intesa tra il Ministero dei lavori pubblici e la Regione Veneto. Fu stabilito di ridefinire la concessione di cui all’art. 3 della legge n. 798/1984 e la relativa convenzione quadro del 4 ottobre 1991, n. 7191, al fine di assicurare il rispetto dei principi recati dalla legge n. 139/1992 nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale riservando al Magistrato alle acque l’espletamento delle gare per l’affidamento delle altre opere di competenza dello Stato.
Con
legge di conversione 31 maggio 1995, n. 206, del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96, vennero abrogati i commi III e IV dell’art. 3 della legge n. 798/1984, riguardanti la possibilità di rivolgersi ad un unico concessionario. Evidentemente la norma non ebbe effetti producendo il contenzioso con la Commissione europea per la presunta violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza.
È con l'invio della lettera di messa in mora del 22 gennaio 2001 che la Commissione Europea contesta ufficialmente e notifica all’Italia la violazione delle direttive comunitarie in tema di appalti di lavori pubblici e di pubblici servizi: nella lettera si avanzano specifiche contestazioni, prima fra tutte quella relativa al rapporto tra Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova quale “concessionario”, in quanto, a seguito di apposite convenzioni, erano stati stipulati contratti di appalto a trattativa privata - senza, quindi, pubblica gara - laddove, secondo la Commissione, non ricorrevano le condizioni di carattere tecnico-giuridico che legittimassero l'affidamento fiduciario. La Commissione ritiene che le convenzioni stipulate tra MAV e CVN sono veri e propri appalti di lavori e servizi e quindi, in quanto tali, dovrebbero essere sottoposti a ordinarie procedure di gara.
Riguardo alla messa in mora, la Presidenza del Consiglio fornisce dapprima dei chiarimenti alla Commissione Europea in una nota del 26 aprile 2001. Infine, il 2 marzo 2002 viene prospettata una soluzione dal Ministro Buttiglione al Commissario Bolkestein, tesa a conciliare l'obiettivo propugnato dalla Commissione di apertura del mercato con l'esigenza di proseguire l'azione di salvaguardia già avviata, così delineata:
• affidamento mediante gara, in conformità con le pertinenti disposizioni nazionali e comunitarie, della realizzazione degli interventi di difesa dei centri urbani e delle insulae (rinforzo delle rive e sovralzo delle pavimentazioni), nonché della fornitura delle componenti elettromeccaniche destinate a completare le opere di regolazione delle maree;
• assegnazione al Consorzio Venezia Nuova, sulla base delle vigenti disposizioni, della realizzazione della componente di ingegneria civile delle opere alle bocche di porto, nonché i connessi interventi di recupero della morfologia lagunare.
Sotto un profilo quantitativo, su un totale degli interventi previsti dal Piano generale pari a circa 6.040 milioni di euro, la soluzione conduceva ad aprire alla concorrenza appalti per circa 3,160 miliardi di euro, pari al 53% circa del totale. Al Consorzio Venezia Nuova rimaneva assegnato il restante 47%, che si aggiungeva ai circa 2 miliardi di euro di interventi già assegnati al medesimo dal 1985 ad allora. Tale soluzione veniva accettata dal Commissario Bolkestein con nota del 25 marzo 2002, con successiva archiviazione della messa in mora.